Fighting Racism - Politics and African Economics
UN CONTINENTE ALLA DERIVA
La Banca mondiale fotografa,
senza autocritica, i ritardi dell'economia africana
ROBERTO LANDUCCI
"Può l'Africa aspirare al XXI secolo?" E' questa la domanda-titolo di un rapporto della Banca mondiale sul continente che, più di altri, è stato il laboratorio di sperimentazione delle ricette liberiste per lo "sviluppo" dei paesi poveri (ex terzo mondo). Una domanda che la Banca mondiale potrebbe rivolgere anche a se stessa, proprio quando, accusata sia da destra che da sinistra di avere fallito nella lotta alla povertà, è entrata nel mirino di una commissione del Congresso americano che sta valutando se proporre un taglio radicale ai finanziamenti Usa verso l'istituzione internazionale. Ironia della sorte, questo rapporto sull'Africa è stato scritto col contributo della Banca per lo sviluppo africano, la quale, secondo alcune voci, potrebbe succedere alla Banca mondiale nel continente. Nel fare congetture sull'Africa subsahariana del XXI secolo la Banca mondiale si vuole ottimista: l'Africa dovrà fronteggiare sfide enormi, ma nelle giuste condizioni potrebbe chiudere il ciclo delle opportunità mancate e dei conflitti che l'hanno gravata nell'ultima metà del 900, dice in sostanza la Banca con assai poca autocritica. L'analisi dei mali africani è tutta portata ad esaltare i fattori endogeni interni alla politica africana - della povertà e del sottosviluppo. D'altra parte basta scorrere le notizie di oggi per avere un panorama di guerre e conflitti che sembrano confortare tale ipotesi: dall'offensiva etiopica in Eritrea alle tensioni in Zimbabwe, in Sierra Leone, per non parlare dei conflitti nella regione dei Grandi laghi. In tale contesto, la fotografia del continente è assai brutta. Secondo la Banca mondiale, molti paesi africani stanno peggio oggi che prima dell'indipendenza negli anni 60. Il reddito cumulato di 48 paesi del continente è di poco maggiore di quello del Belgio. E ancora, in media l'economia di ciascun paese africano è più piccola di quella di una città di 60 mila abitanti di un paese ricco. E soltanto per mantenere l'attuale livello di povertà, dato l'aumento costante della popolazione, le economie africane dovrebbero crescere al ritmo del 5% annuo. Ma negli ultimi 40 anni il reddito pro capite non è variato.Non basta, la lista nera è ancora lunga. L'Africa conta per l'1% nell'economia mondiale e per il 2% nel commercio internazionale. E' il fanalino di coda nelle infrastrutture. Conta solo 10 milioni di linee telefoniche, la metà delle quali in Sudafrica e poche sono le possibilità di accesso a Internet, nonostante si favoleggi di bypassare le reti di telefonia fissa a colpi di cellulare nei villaggi più sperduti. Il continente ha meno strade della Polonia, di cui soltanto il 16% asfaltate. E non più di una famiglia su 5 può accendere una lampadina in casa. 2/3 degli africani che vivono nelle campagne non hanno un accesso decente all'acqua. La povertà è testimoniata anche dal il divario tra costi dei beni e servizi di base - laddove disponibili - e redditi. Il costo di un chilowattora, di un metro cubo d'acqua, di un litro di benzina, di un farmaco antimalarico è all'incirca lo stesso ad Abidjan, a Bamako o Dakar che a Roma o Parigi. Con la differenza che in Costa d'Avorio, Mali e Senegal i redditi sono un trentesimo o un quarantesimo di quelli italiani o francesi. Quali sono allora i mali che impediscono al continente di spiccare il volo? Governi autoritari (ma messi da chi?) e gestione malandrina della cosa pubblica, emarginazione di interi strati di popolazione dalla politica. Così dice la Banca mondiale. Risultato, tanta guerra che non fa rima con sviluppo: 20 paesi africani hanno sofferto dal 1960 almeno un periodo di dura guerra civile. Certo, dal 1990, 42 dei 48 stati sub-sahariani hanno avuto elezioni multipartitiche (spesso improntate al principio che chi vince piglia tutto). Ma è anche vero che un africano su 5 vive in un paese sconvolto da un conflitto. Quali strategie allora approntare dall'esterno per aiutare il grande malato? Un malato, fa notare la Banca, che possiede un enorme potenziale di crescita nascosto. Tre sono le direttive (a parte l'invito a risolvere guerre e a migliorare la qualità della politica): investimenti più mirati, un sostegno alla diversificazione delle economie e alla crescita della competitività e un ripensamento della strategia del debito. Il tutto, senza una parola sul fatto che la Banca mondiale è presente nel continente da alcuni decenni con soluzioni "pronte per l'uso" che, nella migliore delle ipotesi, non hanno frenato la deriva. Sugli investimenti, la Banca sposa la formula di successo della nuova economia (soltanto la formula), secondo cui bisogna investire nelle persone. Migliorare le capacità, prima fra tutte quella ad avere meno figli, e creare competenze. Nel mirino le donne, la "riserva nascosta" dell'Africa. Alcuni studi suggeriscono che se alle donne fosse data uguale opportunità di accedere all'istruzione, la crescita economica potrebbe essere, per questo solo fatto, dello 0,8% all'anno. Istruzione, sanità; nessun cenno però a quando i programmi di aggiustamento strutturale imponevano il taglio alla "spesa corrente", a cominciare dagli stipendi di insegnanti e medici. Quanto alle strategie economiche si punta ancora allo sviluppo di settori orientati alle esportazioni, quelli dove i paesi avrebbero, secondo la vulgata neoliberista, un "vantaggio comparato". E si citano esempi di successo, come il Mozambico (pre-alluvione), impegnato nella produzione e il trattamento degli arachidi - nonostante di benefici per i contadini se ne siano visti pochini. L'idea della Banca mondiale è di incoraggiare i flussi commerciali tra paesi africani e di formare delle "piattaforme" produttive che incoraggino l'arrivo di investimenti diretti dall'esterno. Ciò richiede infrastrutture, in paesi ancora fortemente indebitati - il 17% del pil va in media al pagamento del debito - e dove i crediti più recenti tendono ad evitare i governi per indirizzarsi a progetti gestiti al 100% da agenzie internazionali o straniere. Il che indebolisce oltremodo la legittimità delle istituzioni agli occhi della popolazione. La crescita degli spazi di partecipazione politica permetterebbe allora una maggiore responsabilizzazione dei governanti, dice la Banca mondiale, e una assunzione di responsabilità circa servizi e politiche sociali
Make a better world.